Salute

AIDS: sintomi e terapia



Inquadramento generale 






Nel 1981 venne descritto negli Stati Uniti il primo cluster di pazienti omosessuali deceduti per una grave forma di polmonite interstiziale. Nel 1982 fu utilizzato per la prima volta l'acronimo inglese AIDS ( Acquired Immune Deficiency Syndrome) per indicare la sindrome da immunodeficienza acquisita e nel 1983 fu isolato, da un linfonodo di un paziente affetto da AIDS, un retrovirus identificato come il potenziale agente eziologico di tale sindrome. La sindrome da immunodeficienza acquisita è una condizione morbosa a eziologia virale che determina, in assenza di un' adeguata terapia medica una progressiva compromissione dell'immunità cellulomediata che a sua volta predispone all'insorgenza di gravi infezioni opportunistiche e neoplasie altrimenti rare nella popolazione generale. 
L'agente eziologico è il virus dell'immunodeficienza umana di 
tipo1 (Uman Imunodeficiency Virus 1, HIV-1) appartenente alla famiglia Retroviridae e al genere Lentivirus. Nello stesso genere ritroviamo HIV-2 e SIV (Simian Immunodeficiency Virus) Hiv-2, biologicamente molto simile a HV-1, è caratterizzato da una minore patogenicità;  infatti il danno al sistema immunitario, che pure determina, si instaura in maniera molto più lenta di quanto non accada per l'infezione da HIV -1. A differenza di HIV-1 che ha ormai una diffusione pandemica, l'infezione da HIV-2  resta sostanzialmente confinata alle regioni che si affacciano sul Golfo 
di Guinea in Africa occidentale. 
SIV è il virus dell'immunodeficienza delle scimmie e anch' esso molto simile ai virus dell'immunodeficienza umana. 



Epidemiologia 





La trasmissione dell'infezione avviene per via sessuale, parenterale o verticale da madre a figlio. Il virus è contenuto tanto nel liquido seminale quanto nelle secrezioni cervicovaginali, pertanto l'infezione è trasmissibile mediante rapporti sia omosessuali sia eterosessuali. Per via parenterale il virus è trasmissibile mediante inoculazione di sangue infetto (trasfusione di sangue, emoderivati o trapianto d'organo da donatore sieropositivo, scambio di siringhe tra tossicodipendenti, puntura accidentale con aghi o bisturi contaminati nel personale sanitario). Sono descritte infezioni professionali dovute al contatto accidentale di sangue infetto con le mucose congiuntivali. Una madre HIV sieropositiva può trasmettere l'infezione al feto per passaggio transplacentare del virus, oppure durante il passaggio del neonato nel canale del parto o ancora mediante l'allattamento al seno. Nei paesi a elevato tenore economico, l'adozione di molteplici strategie preventive (trattamento antiretrovirale della madre in gravidanza e del bambino al momento del parto e nel primo mese di vita, parto chirurgico mediante taglio cesareo e allattamento artificiale) ha ridotto l'incidenza della trasmissione verticale a meno dell' 1%. 
Nei paesi in via di sviluppo, in assenza di qualsiasi misura preventiva, l'incidenza di trasmissione verticale è ancora superiore al 30%. Le analisi aggiornate dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stimano in oltre 35 milioni le persone viventi con infezione da HIV/AIDS nel mondo. Quasi il 90% di queste persone vive in paesi a risorse limitate e circa il 70% nella sola Africa subsahariana. 



Diagnosi



La diagnosi di infezione da HIV-1 si effettua con l'identificazione 
nel siero del paziente di anticorpi specifici anti-HIV-1 mediante saggio immunoenzimatico (ELISA). Come test di screening vengono raccomandati gli immuno-assay di quarta generazione, 
che associano alla rilevazione degli anticorpi specifici quella 
degli antigeni virali. Questa formulazione aumenta la probabilità 
di rilevare l'infezione anche nei casi in cui gli anticorpi specifici non siano ancora prodotti (fase finestra di un'infezione primaria) 
o in quelle condizioni di malattia particolarmente avanzata nelle quali la profonda immunosoppressione si può accompagnare alla scomparsa degli anticorpi. Gli anticorpi specifici sono identificabili in meno del 10% dei pazienti dopo una settimana dal contagio, in circa il 50% dopo 2-3 settimane e nella quasi totalità dei pazienti dopo tre mesi. In presenza di un test  positivo, la diagnosi deve essere confermata da Western blot. Le linee guida nazionali consigliano l'utilizzo delle indagini molecolari preferenzialmente per il monitoraggio dei pazienti con infezione documentata. Nella pratica clinica vengono utilizzate per la quantificazione dell' RNA virale (HIV-RNA) nel plasma del paziente. 



Manifestazioni cliniche 







Il virus dell'immunodeficienza umana oltre a determinare le condizioni predisponenti l'insorgenza di patologie opportunistiche, è di per sé responsabile di quadri clinici che si possono manifestare lungo tutto il decorso della malattia, dal momento dell' infezione primaria alle fasi più avanzate. 
L'infezione acuta o primaria da HIV è una sindrome di tipo simil-influenzale o simil mononucleosica. È presente nella quasi totalità dei soggetti ma solo raramente, per la scarsa specificità dei sintomi, viene riconosciuta per la sua natura a meno che non venga riferita dal paziente una recente e precisa esposizione a rischio. 
La durata è l'unico carattere distintivo rispetto a una comune virosi. 
I sintomi possono durare da una a due settimane fino ad alcuni mesi. Sono presenti astenia, atromialgie, febbre, adenopatia multidistrettuale. 
Possono essere presenti anche disturbi a carico dell'apparato gastroenterico (nausea, vomito, diarrea), o un fugace esantema di tipo roseoliforme o morbilliforme. Nella quasi totalità dei casi le manifestazioni cliniche della fase acuta hanno una risoluzione spontanea alla quale segue un periodo di benessere che dura anni (fase di latenza clinica). 
Per tutta la durata della malattia, virtualmente ogni apparato può essere colpito da patologie che, anche se non determinate da un effetto citopatico diretto del virus, sono legate ai processi di flogosi cronica dovuti all'infezione. Il virus non infetta la cellula nervosa ma può infettare le cellule gliali; giunge nel sistema nervoso centrale veicolato da monociti macrofagi. Le affezioni HIV- correlate a carico del sistema nervoso sono la risultante del danno diretto sulle cellule gliali e di quello provocato dalle citochine proinfiammatorie liberate dalle cellule cronicamente attivate. 
I quadri clinici più comuni sono quelli già citati parlando dell'infezione acuta ai quali si aggiungono, nelle fasi più avanzate di malattia, un' encefalopatia da HIV caratterizzata prevalentemente da deficit cognitivi ingravescenti (AIDS dementia Complex, ADC). Il coinvolgimento del sistema nervoso centrale e di quello periferico avviene nella quasi totalità dei pazienti non trattati, ma può verificarsi anche in quanti assumono una terapia corretta ed efficace. 
Non tutti i farmaci antiretrovirali hanno la stessa capacità di penetrare la barriera ematoencefalica e di raggiungere nel liquido cefalorachidiano concentrazioni sufficienti a inibire la replicazione virale. La difficile penetrazione dei farmaci antiretrovirali nel sistema nervoso centrale ha due conseguenze fondamentali: da un lato è possibile che la replicazione del virus persista nel sistema nervoso, anche quando è completamente soppressa nel sangue periferico e nei tessuti linfoidi e questo giustifica l'insorgenza di patologie neurologiche HIV-correlate anche nei soggetti trattati correttamente; dall'altro lato l'eventualità di concentrazioni farmacologiche liquorali sub-ottimali può favorire l'emergenza di ceppi virali farmaco-resistenti. Un altro distretto frequentemente colpito nei pazienti non trattati, è quello gastroenterico. 
L' enteropatia HIV correlata, caratterizzata dalla persistenza di diarrea con indagini microbiologiche ripetutamente negative può essere una delle manifestazioni di esordio della malattia. Nelle fasi più avanzate può essere responsabile di grave malassorbimento e cachessia. 
È frequente la retinopatia da HIV, clinicamente asintomatica, riscontrabile mediante esame oftalmoscopico e caratterizzata dalla presenza di essudati retinici cotonosi (cotton-wool)
Meno comuni sono le manifestazioni a carico del rene (glomerulonefrite che si presenta generalmente con gravi quadri 
di sintomi nefrosica), del cuore (miocardite che può esitare in 
grave miocardiopatia dilatativa-ipocinetica e del polmone (ipertensione polmonare primitiva).

 

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